Il respiro e la voce delle cose 

Scale verso
umide cantine
o soffitte polverose,
agevoli sempre
quando portano
a un deposito d’oggetti,
paurose sempre
quando, verso l’alto o il basso,
ma in fondo, in fondo
hanno una porta
e dietro un baule   
dove sedimentano
stantii ricordi.
Nella luce obliqua
del sottotetto ligneo   
vengono profanati
entrambi i sarcofagi
degli arcani fantasmi
e tiranni dell’anima esiliati.
 
Eppure quell’universo di cose,
morte, parla.
Il soldatino di latta
e quello di plastica
si affrontano silenti
in una guerra di generazioni;
la bambola di pezza
invidia il morbido orso di peluche
che mi dormì accanto
assorbendo e custodendo
lacrime e sogni
da lui, solo,   
adesso conosciuti;
il trenino proveniente
da un candido Natale
si è fermato di fronte
al teatrino delle marionette
che la nonna animava;  
spossato il cavaliere
è sceso dal sauro
e dalle gialle pagine narrate
da una voce fuori campo,
da un padre oramai assente
che, come un personaggio del passato,
rivive nelle cose.   
In questo cimitero di emozioni
è tornato il respiro e il vocio
dell’esistenza.    
 
Agli oggetti, rottami del proprio io   
vorrei chiedere scusa
per averli trascurati.
Comprendo mestamente
il senso del possesso
che lega a questa terra,
dell’immortalità l’evocazione   
discendente dalle cose
in parata schierate,
tutte insieme in tutti gli attimi.
Non appena la luce   
dei nostri occhi le sfiora,
bisbigliano un linguaggio lontano,
mormorano un invito
a rallentare a non abbandonare
i nostri umili tesori.   
Chiudo la cassa,
cala il silenzio e la malinconia,   
ma il timore di perdersi
e riscoprire vite primordiali
che volevo non più rammentare  
prevarica l’affetto
per un piccolo mondo antico.

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