Se davvero esistesse una linea di demarcazione tra il vero codificato (il ‘cosiddetto vero’) e il suggerimento esponenziale del verosimile, tra la linea oggettiva causa-effetto e la raggiera sostanziale del concetto di possibilò, questo libro sarebbe scritto su tale linea.
Fantasia e realtà, ipotesi e riscontro, cifra razionale e pulsazione alogica: i termini sono incisi già imperfetti sulla corteccia delle codificazioni di comodo, ovvero quando ‘fa comodo’ non inquinare né inquietare i mondi che si vogliono mantenere opposti: ma la fantasia stessa diviene realtà nel momento in cui determina qualcosa di reale, in questo caso la scrittura, e l’idea sfuggente alle regole convenzionali della razionalità è comunque un’idea, e, in quanto tale, esiste e fa parte di noi. E poi, non è certo mai stata in prima istanza la logica ad aver nutrito i linguaggi dell’arte.
Pierfrancesco Zen, conducendo ad alta temperatura letteraria le valenze (e le valenze delle valenze, che non esistono neanche in chimica ma in altre sfere — e concezioni — del pensiero e dell’esattezza sì) dell’universo onirico, evocando cioè, come presupposto e condizione narrativa, il sogno e i suoi imprevedibili panneggi mossi da un altrettanto imprevedibile vento interiore (non si dimentichino Dante e Shakespeare, Calderòn de la Barca e Dostoevskij, e nemmeno Federico Fellini), Zen, dicevo, rende chiaro, inconfùtabile e coinvolgente il fatto che proprio il sogno, affiorante dalla stratificazione esperienziale generatrice del desiderio e della paura occulti, è uno stato dell’essere, di tutto l’essere (il cervello è solo una stazione d’arrivo). Lo scrittore, infatti, permea le sue articolazioni affabulatorie con una materia contenutistica a doppio e simultaneo indirizzo comunicativo: su un versante palesa lo sfalsamento — ritmico, spaziale, temporale — peculiare del sogno e dei suoi effetti (il palcoscenico dell’inconscio poggia i suoi piloni di sostegno su paludi e oceani, non sulla terraferma); su altro versante conduce tale sfalsamento a naturale e assoluta credibilità, quasi il sogno fosse un elemento dell’esistenza imprescindibile e destinato a trasfigurarsi in un percorso di diretta — pure se talvolta, o al primo impatto, indecifrabile — autoanalisi, nell’interiorizzazione di una sapienza profondamente umana e tuttavia rivelata epifanicamente.
È, in ogni caso, certo che la dimensione onirica, secondo Zen (e secondo chiunque non la tema), è polla psicoanalitica. In tal senso, la letteratura non è stata avara di esempi e di sollecitazioni. Ed è prodigioso che Zen sia riuscito ad affrontare i territori della sfera del sogno, tra miasmi e nitori, dove le luci si fanno ombre e le ombre abbagliano di inusitate luminosità, in modo così personale, senza subire la seduzione delle influenze, senza che le risacche del suo lineare e nondimeno densissimo linguaggio rischiassero di infiltrarsi in pregresse atmosfere, in già metabolizzate scenografie letterarie.
Eppure, l’autore, proprio mentre fonda e afferma l’unicità di una scrittura insieme — e al colmo — ispirata e meditata, indica ugualmente che a monte s’intrecciano e vivono scritture le cui radiazioni (poetiche e, perché no, scientifiche) hanno costituito un vero e massiccio quanto intenso genere narrativo, da I-loffmann a Rilke, esplicitamente o lungo diramati itinerari allusivi, dai simbolisti a Kafka, fino al nostro Buzzati, al quale Zen sembra peraltro voler rendere omaggio in Fermate, concludendo il racconto con una frase di sottintesa citazione (per l’appunto sul tema del treno, e per l’appunto un titolo): “Qualcosa era veramente successo”. Ed è giusto vi siano rimandi, vibrazioni d’echi: enunciato chiama enunciato, immagine genera immagine, teoria sviluppa teoria; scrivere significa addentrarsi, orientarsi, modificare, variare, continuare a scoprire, affrontare i labirinti delle specularità. Lo sapevano bene Nezval e Holan, sui cui versi si è edificata l’ansia particolarissima del surrealismo praghese; e Io sa bene Zen, il cui marchio di indiscussa individualità non può e non deve prescindere tanto importante e ben evidenziato spirito di europeismo culturale.