I giochi del tempo 

Poesia. Già con ‘Frammenti di relatività’ (1992) – alcuni testi riproposti qui in appendice – Zen aveva individuato le linee guida della sua poetica, che fa di filosofia e indagine esistenziale il punto di forza; vengono a proposito le note poste in calce a ciascuna composizione, poiché non sempre è facile seguire un percorso logico e creativo, proprio per l’intrinseca qualità: la tecnica si evince da Tradimenti, in doppi settenari. Il sentimento religioso attinge alla purezza ideale, mentre ‘il linguaggio cifrato’ permette di intuire in profondità significati che sfuggirebbero a una scrittura superficiale: la coscienza del verso è indice di un poeta il quale, consapevole dei limiti formali (metro e ritmo, per esempio), riesce ugualmente a liberare le potenziali energie della parola.- Luciano Nanni

 
  • Titolo originale:  I giochi del tempo
  • Autore:  Pierfrancesco Zen
  • Edizione:  Panda Edizioni
  • Prefazione:  Luciano Nanni
  • Anno di pubblicazione:  Padova 2005
  • Grafica:  In copertina olio (1995) dell’autore
  • ISBN:  8888852409
  • ISBN-13:  9788888852409
  • Pagine:  96
  • Prezzo:  € 10.00
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Copertina del libro
 

I giochi del tempo di PierFrancesco Zen sono scorci di stagioni dell’anima, rincorrendo sensazioni ed emozioni lungo il fil rouge della memoria. I testi sono intessuti di citazioni mitiche e bibliche, con una notevole tensione speculativa e simbolica. La raffinatezza estetica del linguaggio eleva il tono poetico che indugia anche su finezze stilistiche e metriche e s’inalbera in ardite metafore. Cultura e storia personale s’intrecciano in un preziosismo virtuoso, come in un mosaico pregiato, ma senza per questo essere privo di sentimento. L’estasi creativa accende i sensi e ridesta l’ebbrezza selvaggia dell’essere: “Tentando di raccoglier l’infinito | con profondo respiro | e sguardo sull’orizzonte marino, | spasimo dai pertugi | delle arcane segrete | inondate dall’alba luminosa | che avanza lungo cunicoli cupi | ai giocosi cortili e | con lingua antica e pagana mi parla: | ‘librerai nel vento oggi, | sarai l’agile falco, | lo sfiderai invitto, | sarai la salda quercia, | potrai intraprendere ogni arte | ed ogni libertà potrai godere.’” (Il giorno dell’ibris). Ci si sente fermentare il sangue del lievito dell’esuberanza vitale: “Di questo luminoso ed ampio cielo, | di queste morbide prospettive | di nuvole leggere | scompigliate dal vento, | mi sono eternamente innamorato. | Voglio vivere per sempre | con gli occhi infiammati | dai loro colori.” (Il vulcano). La natura, con le sue corrispondenze simboliche, è spesso protagonista, come in questo suggestivo cantico innalzato alla primavera che è metafora del risveglio dell’anima: “Lungo le umide vie a primavera | cadono lenti petali di pesco: | sul ciglio madidi boccioli di rosa, | flessi germogli d’erba rugiadosa, | in cielo sciolti voli di rondine, | transiti di nuvole scompigliate, | nelle pozzanghere forme distorte | con giochi di specchi moltiplicate; | nell’universo esploso espande il Caos | ed il dubbio dell’Ordine, d’un ruolo.” (Primavere possibili). L’elemento equoreo, fonte di vita e icona dell’avventura metafisica, intriso di allusioni mitiche ed evangeliche, diventa pretesto per un’incursione nel grande mare della vita e della Storia: “Mentre il sole biancheggia le coste | dell’anima che lenta smarrisce | e le schiume fa sfavillare | con malinconici riflessi d’oro, | chiedo ancora acqua | acqua, acqua e un pacato sciabordio | che mi sappia cullare | e donare morbidi equilibri | lungo tutte le rotte. | Infine, se trascinato dai venti | naufragio dev’essere… | lontano, al crepuscolo, lontano.” (Verso il nuovo mondo).

La poesia legata alle persone care è densa di viscerali impeti dell’anima. Così, l’affetto per il padre si prolunga oltre i confini di questa vita, proiettandosi nella dimensione assoluta dell’Eternità: “Quando, coi corpi avvolti | nel mortale silenzio, | né tu né io potremo sentire | gli ingranaggi delle ruote alate e | delle oscure meccaniche celesti, | allora come due gocce saremo | evaporate ma cadute in una | nel grande mare oltre l’infida foce; | precipitando un battito saremo | insieme nell’eterno.” (Fluide unità). La figura materna viene evocata con molta delicatezza: “Arrivato già è il mattino | per ascoltare la mia bambina, | la culla è un nido | la voce d’un passero | con braccia tese ed occhi imploranti | invoca un nome, il primo.” (Il primo nome). La paternità viene vissuta con commozione cosmica: “Nell’oceano lanciai un messaggio | chiuso in una bottiglia, | prima avevo scrutato l’orizzonte, | urlato alle stelle | e impetrato insieme a tua madre.” (Sull’isola un figlio). L’aurora di una vita nascente è sempre un miracolo: “Solo nei sogni non si muore mai. | Sarà forse per questo | che mi sei nata accanto | sorprendente e inaspettata. (…) Eppure qualcosa di te era noto | nel firmamento, prima; | le luci dell’aurora che attendevo | non mi hanno aiutato a comprenderlo.” (Varchi temporali). Anche un’altra composizione dedicata al figlio manifesta lo stupore per una nuova esistenza sbocciata, l’incanto del prolungamento dell’essere: “Due occhi si sono aperti sul mondo, | due tenere gemme vellutate | si sono schiuse in morbido sorriso; | luccicano tra fronde ampie, rugiadose | primizie d’una pianta maestosa | con radici profonde, | avvinghiate alla madre oscura terra | e alle generazioni ivi sepolte.” (L’alternanza). Nel linguaggio dei sentimenti pure gli oggetti possono parlare, partecipano del nostro mondo: “In questo cimitero di emozioni | è tornato il respiro e il vocio | dell’esistenza. | Agli oggetti, rottami del proprio io | vorrei chiedere scusa | per averli trascurati.” (Il respiro e la voce delle cose).

La spiritualità è sorgente feconda d’ispirazione. Allora, struggente è questo intimo colloquio con il Padre celeste: “Tu sai quanto difficile sia | per me non affogare | nelle tue correnti | là dove ricordi e speranze | confondono in vortici insidiosi; | Tu sai quanto difficile sia | per me non impietrire | sul greto del fiume | là dove dolore e pigrizia | invitano a crogiolare nel sole.” (Preghiera). Una conflittuale tensione mistica, in un corpo a corpo con la divinità, si profila in questi versi: “Ti imploro stremato | e sono assalito dal silenzio. | Nelle rughe e negli occhi più torvi | s’addensa preoccupazione e paura: | il devastatore del mio cuore | sei sempre Tu, enigmatico Signore.” (Retrovie). Il Totalmente Altro è occasione di resurrezione: “Poi, forse per la Tua presenza, | sono stato destato di sobbalzo | e avvolto nel pensiero della notte | mi sono trascinato all’aperto.” (Risveglio). Di forte impatto emotivo è questa rivisitazione del tradimento di Giuda, immagine speculare degli altri innumerevoli che si consumano nei vili commerci umani: “Il metallico suono delle trenta monete | ancora riecheggia nel doloroso Tempio, | mentre il Traditore giustizia l’Iscariota. | Nel cortile vociante, sprofondato nell’alba | Pietro, ha poco prima rinnegato la fede | e così liberato un altro proditore. | (…) Lasciatemi fratelli sulla ventosa soglia | lasciatemi ascoltare e da qui osservare | del mondo i tradimenti, i più sterili e volgari: | eppure si tradisce solo ciò che si ama.” (Tradimenti). Interessante è pure questo spunto apocalittico dell’abbandono totale di Dio sulla croce: “La Tua istanza, non le profezie | ci lascia tremuli nelle vaste ombre | delle nostre grevi croci. | Se si sente persino Dio solo | e nella Sua unità lacerato | come può credere l’Uomo | di essere figlio e non disperare?” (Abbandonato).

La poesia I giochi del tempo che dà il titolo alla raccolta esprime la labilità e finanche la tragica inconsistenza della dimensione temporale che PierFrancesco Zen affronta con ludica ironia: “Non ti illuda il mattino | è solo un altro gioco | che sta per iniziare. | Osservando i ruoli altrui | comprendo le regole. | Per la vita coltivo l’interesse | del silente traduttore | di antiche pergamene: | puntualmente le tradisco.” A coronare la raccolta è proprio questa sensazione dell’evanescenza illusoria del tempo, come se l’autore non fosse mai vissuto e tutto evaporasse in una “bolla di sapone”, identificandosi nella figura del poeta voyeur, spettatore illuminato, ma estraneo all’azione scenica, sospeso in un’attesa indefinita: “Io non ho mai vissuto, | mai sono stato con voi; ho solo guardato e atteso, | ho giudicato | e atteso; fiaba dai banali finali | come bolla di sapone | che s’alza e collassa.” (L’attesa).

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